Il viaggio

Un giorno di novembre a Roma iniziò un viaggio.

Il deserto del cuore aveva reso la vita difficile, vuota. L’arrivo nella capitale, la città eterna, là dove gli imperatori diventavano divini, cambiò il mio destino. Per primo l’incontro con Roma fu un vulcano di emozioni inattese. Come si può sentirsi a casa in una città che si scopre per la prima volta nella vita presente. Eppure… eppure il sentimento non poteva essere ignorato o sbagliato, è come quando si vede qualcuno per la prima volta e quella sensazione, impressione, che ci si conosce si fa presente, ma nei propri ricordi non se ne trova la prova. I ricordi vi definiscono estranei, ma il cuore racconta una storia ben diversa.

Che dire del momento in cui scoprii la Piazza Navona? Il sentimento di appartenenza, di “déjà vu” diventa imperioso e definitivo. Quella piazza non la valicavo per la prima volta. Pertanto quello era il mio primo soggiorno a Roma, la prima volta che mettevo piede in quella piazza mitica.

Non potevano sussistere dubbi: Roma è stata la mia città durante altre vite, certamente più di una, tanto il sentimento di appartenenza si impose alla mia coscienza.

E con quel sentimento, un altro si faceva sentire imperioso: mi trovavo nella Città Eterna ed era esattamente il luogo giusto dove dovevo essere.

Il mio appuntamento era per il giorno seguente, nel frattempo potevo approfittare della città, visitarla e riscoprirne alcuni luoghi sacri, a cominciare dal Tevere.

Quando arrivò il momento d’incontrare la persona per cui avevo intrapreso il viaggio, devo ammettere che non sapevo cosa aspettarmi, non avevo nessun’idea di dove mettevo i piedi, di ciò che ne sarebbe scaturito.

Come si incontra un Principe di un’antica Casa Reale? Come Gli si rivolge la parola? Come ci si comporta nella Sua presenza? Sono alcune delle domande che ci si dovrebbe porre in preparazione di un tale incontro. Ma la mia naturalezza colpevole e un certo candore irriverente non mi ci fece pensare. Avevo una ragione che la ragione stessa ignorava, per presentarmi a Sua Altezza e il mio cuore non dubitava che l’incontro doveva farsi e che in ogni caso certamente, sarei stato rinviato a casa mia in modo gentile ma fermo. Quella consapevolezza di essere probabilmente fuori posto, pertanto non mi fermò.

La verità è che ero troppo nervoso per veramente preoccuparmi di qualsiasi altra cosa: nel mondo reale non si incontrano i Principi, salvo nelle favole, e ancora nelle favole sono presenti solo per sposare la Principessa di turno.

Ma poco importa. Quando si entra in scena, si deve ballare, poco importa il contesto e i propri tormenti interni. Il tempo della riflessione è finito e si ha nelle proprie corde, la ricetta del successo.

Un Principe asiatico, cresciuto in Francia, vivente a Roma non lo si inventa ne lo si crea, si va al suo incontro.

Il mio piano, se di piano si può parlare, era di semplicemente presentare il mio progetto. Ma non fu ciò che lo incuriosì… d’altronde del contenuto di quel discorso non se ne è più parlato fra di noi. No, devo ammettere che ciò che attirò la sua attenzione fu la mia persona. Durante quell’incontro ciò che si disse non ebbe un’importanza capitale e poco fui veramente ascoltato. Lui passò il tempo a studiarmi. Davanti ai Suoi occhi inquisitori mi trovavo a nudo. Era la mia anima che studiava e niente Gli sfuggi.

E finalmente, nell’incongruità la più totale, nell’assenza la più totale di probabilità di riuscita, il miracolo si produsse. Come mai prima mi ero esposto e alla fine del primo giorno, quello stesso giorno diventava quello della mia rinascita. L’inizio di questo viaggio.

Quel giorno e quello seguente crearono le fondamenta di ciò che doveva diventare più che una semplice amicizia. Un sentimento fraterno, che si è rafforzato rapidamente e ha resistito a certe vicissitudini. Un sentimento d’appartenenza e una vicinanza d’anima. Ma questo sentimento non poteva essere altrettanto forte senza un fulcro, quel centro che ci attira irrevocabilmente ed eternamente. L’altra ragione della mia presenza a Roma.

La Cambogia.

Non avevo mai considerato la Cambogia prima d’allora, se non come luogo dove un genocidio terribile era stato perpetrato nella seconda metà degli anni settanta. Fino al momento che scoprii nelle mie relazioni lontane un Principe originario di quel paese così esotico e che decisi di contattarlo per proporgli un progetto di viaggio e documentario concernente la stessa Cambogia.

All’incirca quattro mesi dopo quell’incontro, quella scoperta, ci ritrovammo in Cambogia. E di nuovo quel sentimento d’appartenenza, di essere a casa, di dover essere esattamente lì si ripresenta imperioso. Una voce che mi disse:

“Finalmente, ce ne hai messo del tempo. Ben tornato a casa”.

Vi prometto carissime voci nella mia testa, pure in Cambogia la mia memoria giura non messi piede prima d’allora.

Le voci ridono.

La scoperta di Phnom Penh fu un esplosione celebrale d’emozioni, a tal punto che non fui capace di esprimere ciò che risentivo. Poi avvenne il viaggio a Siem Riep, la scoperta del centro spirituale Khmer, dell’anima del Regno, quel centro che nei secoli ha attirato delle energie di una potenza tale che riescono a preservare e proteggere il cuore della civilizzazione Khmer contro tutta avversità. E l’arrivo a Siem Reap fu altrettanto e anche più devastante in un tumulto di sentimenti difficili da esprimere.

L’intensità di quei sentimenti esplose esattamente nel momento in cui misi piede in un tempio ben preciso. Il mio Principe e protettore si impiegò a farci arrivare per il tramonto al tempio Pré Rup. Questo tempio presenta una scalinata ripida per accedere alla sua sommità, da cui si è privilegiati e meravigliati da un panorama sublime. I turisti raggiungono questo tempio al tramonto per poterne ammirare i colori sublimi. In apparenza quella era pure la nostra ragione per precipitarci in quel luogo. Arrivammo pochi minuti prima del sospirato tramonto e salimmo in cima al tempio.

Se i miei arrivi a Phnom Penh e Siem Reap provocarono delle reazioni d’un’intensità emotiva senza precedenti in me, quelle stesse sensazioni impallidiscono in confronto a ciò che provai nel mettere piede nel tempio di Pré Rup. La testa cominciò a girarmi, l’impressione di appartenenza si ripresentò moltiplicata all’infinito, i rumori ambienti scomparvero e feci il giro del tempio e mi fermai in cima alla scala d’accesso ed ebbi la netta sensazione che da quel punto accoglievo le visite (il Re).

Poi la conferma con la parola di ciò che il cuore aveva già capito:

“Questo è il “tuo” tempio”.

Restava all’intelletto il compito di elaborare quelle informazioni e stabilirne le conseguenze. Ma quella è un’altra storia che vorrei potesse essersi svolta in quel momento, ma devo ammettere che il processo è durato ben più a lungo.

Alla fine di quel primo viaggio, di quella prima esperienza nessun dubbio poteva sussistere. La prima tappa di questo viaggio aveva risvegliato una coscienza e conoscenza che con il passare del tempo non ha fatto che rinforzarsi e ingrandirsi. Il legami creatisi sono diventati indelebili e inscindibili.

Ho sempre desiderato avere un fratello maggiore. Che fosse Principe non mi era mai sembrato possibile, anzi non vi avevo mai pensato. Nel mio mondo di prima le favole rimanevano nel mondo della fantasia.

Ora la fantasia è diventata realtà. Una realtà nella quale tutto diventa possibile. Un viaggio che porterà altri sviluppi, ma che a prescindere dal seguito ha già prodotto alcuni “miracoli”.

Il cuore ha sempre problemi ad esprimersi correttamente per dire la sua gratitudine infinita. Ma il cuore conosce quel sentimento e lo esprime ad ogni momento.

In quel luogo di cui la coscienza ha poca conoscenza, in cui l’anima è maestra, in cui il cuore si esprime senza barriere, in quel luogo dove ci si unisce nell’immensità eterna, dove la verità è la sola realtà, là dove il corpo fisico non esiste, sì, là dove ci ritroviamo spesso, le parole sono inutili, ma i sentimenti veri e l’amore padrone.

Non oso compararmi a tanta prosa come quella che permise al Maestro Petrarca, d’esprimere in rime sparse in un sonetto i rammarichi per gli errori giovanili, che esposero il suo cuore e la sua persona. Ma fossi anche vagamente e molto lontanamente altrettanto dotato, m’ispirerei da quel primo sonetto.

Non posso terminare, fare di una parola fine l’ultima di questo scritto. Solo mi viene la continuazione del cammino cominciato, con lo sguardo ben lontano presso Ta Reach.

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