La città abbandonata

Solo la voce del vento risuona fra le mura della città. Le strade sono deserte. Le case pure. Le biciclette posate a terra sono rimaste senza proprietario. I motorini condividono la stessa sorte, come pure le macchine. Qualche indumento si lascia trasportare dall’ululo del vento e nessuno ne reclama l’appartenenza. Alcune porte sono rimaste aperte, come per meglio accogliere il passaggio del vento, venuto a condividere le pietanze abbandonate sulle tavole, adibite probabilmente per un pranzo o forse una cena, che nessuno mai condividerà seduto su quelle sedie che rimangono stoicamente immobili esattamente come furono lasciate, come testimonianza di una presenza, come conferma della loro funzione passata.

Sul suo passaggio il vento incontra certi odori nauseanti, testimonianza di una vita passata, abbandonata anch’essa frettolosamente. La desolazione è la sola a trovarsi ancora a suo agio in quello che rimane di una città, un tempo prospera e fiera.

La sola vita che si può ancora trovare in questa città, è confinata nel letto del fiume. Al di fuori dell’acqua che scorre, il deserto si è impadronito di ogni angolo remoto e nascosto.

La guerra ha invaso le case, rapito ogni sospiro, imposto le sue leggi spietate. Nessuna pietà. Nemmeno per la dignità, dimenticata all’altare dell’ideologia della rossa parola, indottrinata nei cuori di pietra.

La vita è sacrificata nel nome della parola, qualsiasi ne sia il significato, che in verità pochi capiscono. Dettaglio di poca importanza. La parola sarà trionfante e diventerà legge suprema ed ogni opposizione ridotta al silenzio ancora prima che possa concepirne anche solo il lontano pensiero.

L’intelletto è considerato come nemico publico ed eliminato direttamente senza processo. La cultura fa la stessa fine, nessun bisogno di conoscenza per lavorare nei campi. Nella nuova era deve solo sussistere a parola diventata legge suprema. Il ricordo deve essere seppellito nel profondo oblio dell’ignoranza totale.

Ciò che rimane della città, si ritrova altrove, nei campi di riso. Si lavora o si muore. Nessuna via di mezzo. La parola è già legge suprema e ha già decretato chi vive e chi muore e l’esecuzione della legge suprema è immediata.

Di città in città, da villaggio a villaggio, il vento passa e incontra lo stessa desolazione.

Se si potesse capire la voce del vento, si sentirebbe un lamento percorrere le strade deserte della città. Struggente e lacerante, nella ricerca di un senso a dare a quello spettacolo apocalittico. Nella voce del vento, il clamore di milioni di anime lacerate all’altare della rossa parola diventata legge suprema. Un lamento che mai si placherà.

In memoriam: Phnom Penh, Cambogia. Una tragedia non ha mai fine. La memoria degli offesi è un obbligo permanente.

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